SONO UN ARCHITETTO PENTITO
CAPITOLO SECONDO
2 - L’EDILIZIA
ODIERNA E’ NELLA PREISTORIA
Come accennato, il primo sconvolgimento
nasceva dagli impianti, ma cominciai a pensare a cosa era successo mio malgrado
sotto i miei occhi in cantiere fino a quel momento.
In qualsiasi altra branca della produzione
umana, la realizzazione avviene a mezzo di un montaggio di elementi
precostituiti: fin dai tempi della prima rivoluzione industriale, e poi a
seguire con la rivoluzione dell’automazione, si costruisce “assemblando”.
Un emergente comico napoletano, il giovane Fabian Grutt in un laboratorio di
cabaret a Roma, in una sua pantomima in gergo napoletano, racconta la sua
personale e traumatica esperienza relativa al bricolage (vado a memoria):
“l’italiano,
la dumenica, adda muntà…
ma
non è quello che vi credete, marpioni…
c'ha
ben altro da fa’ l’italiano, la dumenica…
nun
può pensà a cchelle ccose…
lui
adda muntà…
perché
il sabato è passato all’Ikea…
ha
cumprato nu mobile…
nu
scatolone enorme…
la
sera l’ha purtat’an coppa…
e
la domenica l’adda muntà…”
da qui si evidenzia l’idea che anche l’ultimo atto di un’opera edile, cioè l’allestimento
della casa, l’arredamento, viene montato.
Ma fino ad allora, ultimo atto, nulla è montato.
La
malta per allettare i mattoni si impasta, il calcestruzzo per le strutture in
cemento armato si mischia girando il conglomerato nella betoniera, l’intonaco
si sbruffa con la “cucchiara” (!!!) e
si plasma con il “fratasso” (!!!), la
pittura si stende con la “pennellessa”
(!!!), ma nulla si monta:
da quando le case si facevano con lo sterco, il fango, l’argilla, la paglia,
qualche pietra, ben poco è cambiato.
Già, gli strumenti qui citati non danno certo
il senso dell’alta tecnologia o dell’homo sapiens: il “maleppeggio” (!!!), la “mazzetta”
(!!!) (quest’ultima ben lungi dall’essere uno strumento di corruzione, che già
farebbe parte dell’umano, anche se in forma degenerativa) paiono non aver certo
nulla a che fare con l’hi-fi, l’hi-tech: appare un linguaggio proveniente da un
altro pianeta decaduto o post-atomico.
Ed anche l’innovazione dell’ultimo secolo, la grande invenzione del cemento
armato, mito di grandi ingegneri ed architetti, anche questo si impasta.
Direbbe Fabian: “l’uomo, se si vuole
costruì la casa, adda ‘mpastà”
E’ evidente che quanto realizzato in cantiere
impastando in opera, (e non montando ed assemblando elementi creati in fabbrica;
e senza arrivare addirittura – sarebbe troppo - all’assemblaggio automatico a
mezzo robots) è destinato ad essere un numero unico, un pezzo unico ed
originale: questo può far sognare i cultori dell'unicità dell'arte, ma
l'Architettura ha una funzione ed una dimensione che vanno oltre i limiti
ristretti e a volte ottusi dell'arte: la Domus
non può e non deve essere “ad una dimensione”,
come l’uomo di Marcuse.
In pratica, riferendosi anche alle architetture del passato, il procedimento di
impasto e di mescolanza risulta poco diverso da quello che fa lo scultore, che
aggredisce e plasma la materia, ed il cui fine primario non è quello di creare
spazi fruibili per l'uomo, ove l’uomo sia “dentro”, ma volumi e materie ove
l’uomo sia “fuori”.
Ma purtroppo quanto eseguito nell'ultimo secolo ha conseguito ben altri
risultati rispetto al passato.
La grande architettura del passato aveva come committente principale il grande
potere: il Faraone, l'Imperatore, la Chiesa, il signorotto illuminato.
L'enorme disponibilità economica permetteva ai grandi mastri (gli Architetti di
allora: non vi era certo la facoltà di Architettura o di Ingegneria) di creare
architetture irripetibili, ma – con il metro di giudizio attuale – inutili per
i vivi (tombe o templi di culto), costosissime, per pochi, per fatti e luoghi
ad altissima visibilità, ridondanti, emergenti (nel senso che “emergevano” in
maniera abnorme rispetto allo spazio quotidiano, e non che fosse a servizio di
bisogni e valori “emergenti” o di “emergenza” sociale).
Ma qui vogliamo cogliere quanto ci proviene dal passato nel campo
dell'architettura minore, l'edilizia residenziale e l'urbanistica per ceti medi
(e/o) meno abbienti: in quanto questo risulta essere il tema che dovrebbe
essere predominante per l'edilizia di oggi, in pieno urbanesimo
post-metropolitano:
ad esempio il borgo di contorno ai grandi centri urbani aristocratici o
ecclesiastici;
la casbah nei paesi arabi: la più nota è
la casbah algerina, rivisitata in film epici quali "La battaglia di
Algeri", o in quello forse più popolare e meno aulico "Totò le
mocò"; o il paesetto
medioevale arroccato intorno la rocca
ma dentro le mura; o la “spina di
borgo Pio”, devastata ed umiliata dall’imperiale via della Conciliazione, e che
era l’ultimo baluardo a coronamento di una piazza San Pietro rimasta orfana
dell’ultimo e frontale ordine michelangiolesco di colonne, mai eseguito.
Anche i
nostri predecessori impastavano malte, muravano mattoni, intonacavano pareti,
le pitturavano: ma il tutto per creare spazi fruibili, lo spazio esterno ed
interno spesso si fondevano in un tutt'uno senza soluzioni di continuità, gli
interni non finivano con la facciata, fondendo in un unico progetto
architettura ed urbanistica.
Visitate Bomarzo, e non parliamo del
più noto "giardino dei mostri", ma del paesetto medioevale: non si
comprende mai se si è in un interno o in un esterno, la continuità è fluida; le
facciate, limite dei volumi chiusi, sono contemporaneamente pareti interne dei
volumi aperti.
E’ un
guardare il dentro da fuori, ed il fuori da dentro: e così anche non più a
scala dell’edificio singolo, ma a scala urbana, nelle diverse ideologie di
lettura della città:
A
- le ideologie di destra, ricche di riferimenti imperiali e
monumentali, vedevano la città dal suo baricentro, il centro storico o
comunque il centro degli “affari”, per qualificarne la centralità dove ha sede
il potere e le classi dominanti; la destra economica usava le periferie ai soli
fini della “Speculazione Edilizia”, termine ormai in disuso, ma fortemente radicato
nella logica politica della Democrazia Cristiana (vedi quel bellissimo film di
Francesco Rosi “Le mani sulla città”).
Società ed Imprenditori d’assalto,
quasi sempre a mezzo di prestanomi, legati al potere politico, in
collusione con le forze al potere, acquistavano ingenti terreni agricoli (con
una agricoltura allora in disarmo e disuso, vista la fuga dalle campagne di
quel periodo) o aree adibite a discariche urbane, più o meno abusive; il
tutto a basso prezzo, all’esterno delle città, in discontinuità con la
città stessa, un po’ lontano, in quanto così costavano di meno.
L’Ente Pubblico subito dopo assicurava
la creazione di strade e servizi, Urbanizzazioni primarie e secondarie, a
riempimento e saturazione strutturale delle aree intermedie; in tal modo
lievitava la urbanizzabilità delle aree private, e quindi il loro
valore, a spese della collettività, grandi spese proprio per la lontananza
delle aree in oggetto.
Le società
private, a quel punto, visto aumentare enormemente il valore dei loro terreni,
costruivano le Milano 2, i complessi Magliana Nuova a Roma, con tonnellate di
cemento armato permessi loro da revisioni compiacenti dei Piani Regolatori, che
trasformavano terreni agricoli in terreni fabbricabili; nascevano così orrendi
quartieri, parti di città dormitorio, ove era difficile dormire, anzi, dove
bisognava stare in campana.
E pullulavano i “palazzinari”, di destra e di
sinistra che fossero, i Genghini ed i Marchini, i Lodigiani (poi trasformatosi
in ditta orientata alla costruzione di infrastrutture), i Lamaro, i
Caltagirone, i Mezzaroma, gli Armellini, i Berlusconi;
tutti poi regolarmente falliti, con
fallimenti di comodo per mascherare ingenti guadagni e per esulare le tasse,
per poi riciclarsi sotto altro nome o sigla in altre operazioni edilizie; anche
coadiuvati da società immobiliari intermediarie di vendita, che pullulavano
come funghi, per poi scomparire miseramente o fallire anch’esse (ricordiamo
l’effimero exploit della MMT, Marino Merlo Tindaro);
tutti regolarmente
falliti, tutti tranne Berlusconi ed il suo gruppo;
ed altre società colluse con criminalità
organizzata, la Banda della Magliana, Mafia e Camorra, riciclo di denaro
sporco di Tangentopoli, il grande potere economico e politico creato dal quel
monopolio di poteri forti concentrati in DC-PSI: società che potevano reggere
in quanto sorrette finanziariamente da operazioni spesso illecite, se non
criminali.
B - le ideologie
di sinistra, radicate in un tessuto sociale proletario e periferico,
vedevano la città dall’esterno, dalle sue periferie estreme, dalle
borgate, dalle bidonvilles;
era il periodo dei “brutti, sporchi e cattivi”, film del 1976 diretto da Ettore Scola,
con Nino Manfredi (al centro del film sono “la periferia romana dei primi anni
settanta e le sue baracche, raccontate impietosamente con tutte le loro
miserie, morali e materiali”);
era il periodo di
Pasolini, dei “Ragazzi di strada”, di “Accattone”, di “Mamma Roma”: dei
film senza attori professionisti, realizzati con modeste forze finanziarie, che
dimostravano fra l’altro quanto si possa donare all’Arte senza volti di grande
grido, conseguendo il “successo” senza l’uso della “notorietà”; erano le aree abitate
(si fa per dire) da quel ceto sociale che odiava il piccolo, medio, e grande
borghese;
la manodopera del
lavoro precario e giornaliero, la meno qualificata, per i lavori più duri,
giusta per le aree più degradate, senza fogne né strade, né servizi secondari,
ma neanche quelli primari.
C – la terza via:
la riqualificazione delle aree intermedie, dei quartieri popolari ma non
degradati in maniera estrema; quartieri quali la Garbatella, nata da “garbate”
iniziative di edilizia economica e popolare (in questo caso addirittura del
ventennio!!!) con ampi cortili condominiali su cui si affacciavano le zone
nobili delle abitazioni, i soggiorni, mentre sulle strade esterne si
affacciavano in maniera non ovvia servizi e disimpegni;
le iniziative allora
in corso di Edilizia Economica e Popolare, all’interno della Legge 167, gli
Spinacelo, i Tor de’ Cenci, i Torre Angela, che sono state delle enormi
occasioni mancate dal punto di vista sociale e strutturale, ma che hanno creato
degli orrendi contenitori di malavita e disperazione, ma che avrebbero potuto
offrire quelle strutture e quei servizi consoni ad un habitat civile;
grande occasione mancata anche sotto
l’aspetto dell’industrializzazione dell’edilizia:
erano investimenti
per miliardi di metri cubi, di milioni di abitazioni, all’interno del sistema
cooperativo, ove si poteva impostare una moderna mentalità progettuale,
unitaria, flessibile e ripetibile, prefabbricabile e riproducibile;
una progettazione integrale, “organica”, non nel senso meno
interessante dei filoni di estetica architettonica del momento, ma dal punto di
vista dell’”organismo” architettonico
ed urbano quale entità viva e quindi in continua trasformazione;
cioè,
progettare secondo canoni che prevedano tra gli “input” progettuali
fondamentali la continua “trasformabilità” degli organismi abitativi;
sul tema
ritornerò ancora, ma qui voglio mettere in evidenza un enorme flop causato
dalla cecità della cultura architettonica e delle leggi (cecità di ieri e di
oggi).
Faccio un esempio di vita vissuta:
nel 1979,
eseguii in appalto a Tor de’ Cenci un edificio su un terreno di proprietà di
una cooperativa, di nove soci, per nove appartamenti: nove è il numero minimo
di soci per la costituzione di una cooperativa: il numero minimo quindi di massima
agibilità, di facile gestibilità (dell’intrallazzo), e quindi di massimo
profitto.
Accanto a noi vi
erano una infinità di piccole cooperative di nove soci, con il loro bravo
progetto, con la loro brava Direzione Lavori, con la loro spettabile Impresa.
Un progetto di
migliaia di appartamenti, inserito in un programma urbanistico unitario, con un
disegno urbano accattivante costruito su una traiettoria stradale in cerchio e
poi in curva parabolica, veniva realizzato in tanti piccoli lotti, tanti
quadratini; chi attestandosi più vicino al fronte stradale, chi a ridosso del
confine retrostante; chi creando un piano “pilotì” con percorso pedonale a
piano terra, che non aveva alcuna continuità con il vicino, con percorsi quindi
che non portavano da nessuna parte; chi coprendola a tetto con tegole, chi con
terrazze per stendere i panni; ognuno però con la sua brava antenna
centralizzata per nove utenti (o forse le centralizzate non esistevano
ancora?); ognuno però con il suo garage sotterraneo per nove macchine, o
qualcuna in più per chi ne possedeva già allora
due o tre (lasciando questi spazi non proteggibili dal punto di vista
della sicurezza, con custodi o altro, in quanto troppo piccoli; quando invece
si potevano prevedere ampie autorimesse con chiusure automatiche, con custodi
la cui spesa si poteva ripartire su innumerevoli utenti, con impianti
sofisticati anti-incendio, anti-rapina, con video-sorveglianza - e questo già allora esisteva); chi
colorando di rosso la sua facciata, perché il suo architetto era comunista, chi
di grigio perché …
E qui arriva il paradosso, il finale
incredibile:
sono tornato a
Tor de’ Cenci dopo tanti anni: l’avevo lasciata in costruzione, non finita,
tutta un cantiere; l’ho ritrovata completata, ma non ho riconosciuto il palazzo
alla cui realizzazione avevo partecipato:
la strada in
curva si confondeva nella linea spezzettata e discontinua di tanti segmenti di
prospetto;
i prospetti,
tutti disuguali e non omogenei, facevano individuare le singole unità, in un
organismo urbano che non era stato pensato per quelle singole unità;
la mano (o meglio, i piedi) degli architetti
emergeva imperiosa in un fantasmagorico puzzle;
lo skyline a
casaccio coronava in maniera disordinata la rigida geometria della curva
urbana;
le rifiniture
ed i colori, tutti diseguali, completavano come un triste Arlecchino la
periferia romana.
Ed io non ho
riconosciuto il palazzo, che io avevo costruito come impresa.
Ripeto,
non ho riconosciuto il palazzo!!!
Morale: gli interventi in edilizia economica
e popolare, i Peep, la legge 167 e successive, sono stati una grande occasione
perduta, dato i progettisti e l’industria edile, (e quindi anche la Politica,
quella in senso buono e con la P maiuscola) non hanno saputo approfittare della
grande dimensione dei loro interventi, degli enormi capitali investiti, ma per
le speculazioni e non per la ricerca, per aggiornare cioè il livello
tecnologico dell’edilizia.
E vedremo in seguito che non è stata la sola
occasione perduta, ma comunque sempre a partire dallo stesso periodo storico,
in pieno boom economico.
E così in edilizia siamo rimasti nella
pre-istoria!
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