venerdì 8 maggio 2015

6 - GRUPPO ARCHIGRAM – dalla megastruttura alla cellula

  Sempre negli anni 60, con la fusione di due studi (Peter Cook, Dennis Crompton e Warren Calk, da una parte; David Green, Ron Herron e Michael Weeb dall'altra) nacque l'Architettura Megastrutturale del Gruppo Archigram.

  La maglia strutturale del Gruppo si attestò sul quarantacinque gradi, con una orditura ortogonale posizionata in diagonale; l'Immaginario del Gruppo prevedeva sempre all'apice della maglia il posizionamento di una gru fissa, stanziale, che permettesse la continua trasformabilità dell'Habitat, continuamente "in fieri".

  Ho ritrovato questa immagine (la gru per la costante manutenzione e trasformazione dell'edificio) in tanti organismi abitativi e di uffici a Londra.



  Il gruppo Archigram è stato negli anni '60 noto per una visione della città e dell'habitat - per i tempi di allora - all'avanguardia, per una città da progettare come un unico organismo supertecnologico, ma senza sfociare nell'utopia o nella favola; 
  pur tuttavia, se anche abbiamo sostenuto che "la fantascienza  dell'altro ieri è la scienza di ieri" e "l'utopia di ieri è la filosofia di oggi", purtroppo il pensiero e la cultura urbanistica ed architettonica non sono state al passo con i tempi, e non hanno fatto frutto degli esperimenti e delle provocazioni di tanti Grandi poi passati nel dimenticatoio.



  Se inizialmente e fino alla metà degli anni Sessanta, Archigram si dedicò a progetti megastrutturali, tra cui i più importanti Plug-in City di Peter Cook e Walking City di Herron, entrambi del 1964, successivamente l’attenzione venne concentrata nella progettazione di “habitat portabili”, che dovevano “liberare” l’uomo dell’architettura stessa."

  Si ipotizzano micro spazi compressi, ad uovo, ma ricchi di proteine abitative, e potenzialmente assemblabili a grappolo, in contenitori a scala urbana: dal microcosmo al macrocosmo.







CELLULE RESIDENZIALI A FORMA ERGONOMICA

    E qui, continuando lungo le linee indicate dalle visioni da sogno (come direbbe Crozza mimando Briatore) proposte da Archigram, si vuole sperimentare un possibile assemblaggio di moduli, con una assimilazione onirica tra un modulo di un bancone per esposizione e vendita fotografato in un negozio di abbigliamento, ad un modulo ripetibile e montabile in una possibile città (tema grafico: “da un modulo di bancone alla città: un nuovo modo di concepire l’habitat umano; dall’impasto all’assemblaggio”).





  Involucri da carrozzeria di alto design (Pinifarina, Bertone? …): è un industrial-design che va oltre l’architettura (ormai confinata nella preistoria), con verniciature a forno, vetri fotosensibili fumé a scalare, curvi o bombati a seguire il disegno e la linea della carrozzeria, infissi a scomparsa.


  In questa immagine onirica appare la fine del cemento armato (e quindi del carpentiere e ferraiolo, e delle centrali di betonaggio, dell’imbianchino, dell’impiantista vecchia maniera): un’edilizia montata da personale in camice bianco, o meglio da robots con programma di montaggio diretto dal computer di bordo di un cantiere pulito e senza errori, con abbattuti i rischi di infortunio e di approssimazione.

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