6 - GRUPPO ARCHIGRAM – dalla megastruttura alla
cellula
Sempre negli anni 60, con la fusione di due
studi (Peter Cook, Dennis Crompton e Warren Calk, da una parte; David Green,
Ron Herron e Michael Weeb dall'altra) nacque l'Architettura Megastrutturale del
Gruppo Archigram.
La maglia
strutturale del Gruppo si attestò sul quarantacinque gradi, con una orditura
ortogonale posizionata in diagonale; l'Immaginario del Gruppo prevedeva sempre
all'apice della maglia il posizionamento di una gru fissa, stanziale, che
permettesse la continua trasformabilità dell'Habitat, continuamente "in
fieri".
Ho ritrovato
questa immagine (la gru per la costante manutenzione e trasformazione
dell'edificio) in tanti organismi abitativi e di uffici a Londra.
Il gruppo Archigram è stato negli anni '60
noto per una visione della città e dell'habitat - per i tempi di allora -
all'avanguardia, per una città da progettare come un unico organismo
supertecnologico, ma senza sfociare nell'utopia o nella favola;
pur tuttavia, se anche abbiamo sostenuto che
"la fantascienza dell'altro ieri è la scienza di ieri" e
"l'utopia di ieri è la filosofia di oggi", purtroppo il pensiero e la
cultura urbanistica ed architettonica non sono state al passo con i tempi, e
non hanno fatto frutto degli esperimenti e delle provocazioni di tanti Grandi
poi passati nel dimenticatoio.
Se inizialmente e fino alla metà degli anni
Sessanta, Archigram si dedicò a progetti megastrutturali, tra cui i più
importanti Plug-in City di Peter Cook e Walking City di Herron,
entrambi del 1964, successivamente l’attenzione venne concentrata nella
progettazione di “habitat portabili”, che dovevano “liberare” l’uomo
dell’architettura stessa."
Si ipotizzano micro spazi compressi, ad uovo,
ma ricchi di proteine abitative, e potenzialmente assemblabili a grappolo, in
contenitori a scala urbana: dal microcosmo al macrocosmo.
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CELLULE
RESIDENZIALI A FORMA ERGONOMICA
E qui, continuando lungo le linee
indicate dalle visioni da sogno
(come direbbe Crozza mimando Briatore) proposte da Archigram, si vuole
sperimentare un possibile assemblaggio di moduli, con una assimilazione onirica tra un modulo di un bancone
per esposizione e vendita fotografato in un negozio di abbigliamento, ad un modulo
ripetibile e montabile in una possibile città (tema grafico: “da un modulo di
bancone alla città: un nuovo modo di concepire l’habitat umano; dall’impasto
all’assemblaggio”).
Involucri da carrozzeria di alto design
(Pinifarina, Bertone? …): è un industrial-design che va oltre l’architettura
(ormai confinata nella preistoria), con verniciature a forno, vetri
fotosensibili fumé a scalare, curvi o bombati a seguire il disegno e la linea
della carrozzeria, infissi a scomparsa.
In questa immagine onirica appare la fine
del cemento armato (e quindi del carpentiere e ferraiolo, e delle centrali di
betonaggio, dell’imbianchino, dell’impiantista vecchia maniera): un’edilizia
montata da personale in camice bianco, o meglio da robots con programma di
montaggio diretto dal computer di bordo di un cantiere pulito e senza errori,
con abbattuti i rischi di infortunio e di approssimazione.
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