Sono un architetto pentito
lunedì 10 febbraio 2020
lunedì 3 febbraio 2020
giovedì 21 maggio 2015
CAPITOLO 0 - SONO UN ARCHITETTO PENTITO
9 - UN EDIFICIO E' BRUTTO? PORTATELO DAL
CARROZZIERE
Abbiamo
parlato di sovrastrutture da applicare agli edifici per produrre un
"valore aggiunto" rispetto a temi energetici, di impiantistica,
strutturali: i tetti, i lastrici solari,
ma anche i prospetti degli edifici, devono essere tutti pensati come superfici
portanti impianti di trasformazione di energia eolica; o pensati captanti
irradiazioni solari, e loro trasformazione in energia, per diminuire il proprio
fabbisogno energetico proveniente dalla rete; negli edifici esistenti, tali
superfetazioni non devono essere pensate come una
8 - IL MOSTRO
EMERGENTE: CENTRO POMPIDOU
A PARIGI
Nel Capitolo precedente abbiamo lanciato "per assurdo" uno
straordinario ed aberrante paradosso:
“che addirittura anche l'attività di "speculazione edilizia", pur
nella sua aberrante realtà e
definizione, è stata comunque una ennesima occasione mancata per
l'ammodernamento della progettazione e della produzione dell'industria edile”.
In pratica, ogni concentrazione di esecuzione
di grandi quantità industriali, ha permesso in qualsiasi branchia di attività
una razionalizzazione dei sistemi di produzione, una loro meccanizzazione ed
automazione, una tecnolocizzazione e una evoluzione in una sfera di realtà
intelligente: dappertutto, tranne che in edilizia; e non solo in Italia, ma
anche in Europa e nel mondo;
tranne isolati episodi di alcune creazioni cosiddette "di
avanguardia" ed utopiche, futuribili e da alcuni ritenute demenziali; mentre
contemporaneamente nelle altre branchie industriali tutto ciò non è né utopico
né di avanguardia, anzi completamente attuale, consolidato nella cultura
progettuale di ingegneria e di design.
In pratica anche il più "bieco capitalismo" ha cavalcato l'astro del mito
tecnologico ed artificialmente intelligente, del design globale, della
progettazione integrale, realizzando opere in tutti i settori industriali
di funzionalità, affidabilità e bellezza astrale;
e quindi per assonanza anche la più "bieca speculazione edilizia", ma
anche la Legge 167, le cooperative rosse o bianche che siano, l'edilizia
economica e popolare nel suo complesso, etc. avrebbero potuto cavalcare l'astro
del mito progettuale tecnologico ed artificialmente intelligente, del design
globale, della progettazione integrale, etc.
Ma non lo ha fatto. Non lo ha fatto per deficit di lungimiranza degli operatori
economici, che non hanno investito nella ricerca;
per dimenticanza del tema "abitazione" nell'industria collaterale
soprattutto per quanto riguarda la evoluzione di tecnologia dei materiali
(chimica soprattutto, fisica, mineralogia, etc.); per arcaicità di cultura (per
non dire incompetenza) dei progettisti del campo, (architetti ed ingegneri).
Questi ultimi hanno forse cavalcato l'onda
del monumento emergente, del mostro iper-tecnologico e post-industriale, del
pezzo unico che proietta l'autore nella leggenda della storia, ma non
l'onda dell'Habitat dove l'uomo vive.
Qui trovate un monumento eccezionale ed
estremo di questa cultura: CENTRO POMPIDOU A PARIGI, un numero
1.
Un grande Renzo Piano, con una
architettura high-tech un po' datata (1971/77), nel suo equivoco tra opera provvisionale o definitiva.
Un'apoteosi di tubazioni da archeologia industriale proiettata nel futuro; il riscatto alla valenza estetica della impiantistica e della struttura estrema; opere provvisionali e temporanee assurte ad elemento costruttivo definitivo; una continuità ideale di nervature siderurgiche tra interno ed esterno.
Le immagini parlano da sole.
sabato 16 maggio 2015
Sono un architetto pentito
Capitolo 7
7 - LA
SPECULAZIONE EDILIZIA:
malgrado tutto
una occasione mancata (!!!)
Abbiamo visto nei capitoli passati che nonostante un forte fermento negli
anni sessanta teso a promuovere le premesse ideologiche e tecniche per una
trasformazione dell'habitat umano in senso moderno ed industriale; nonostante vi siano state delle grandi occasioni di investimento
nell'edilizia pubblica (legge 167 e di edilizia economica e popolare) e privata
(cooperative, ma anche costruttori che invece di sviluppare quartieri
tecnologicamente ed urbanisticamente avanzati, hanno fatto mere operazioni da
"palazzinari");
nonostante
si sia creata quella energia indotta provocata dalla spinta dell'urbanesimo e
della pressione demografica, che ha trasformato città storiche in
megalopoli; nonostante tutte queste
condizioni favorevoli.., le città si sono accresciute con criteri e standards
abominevoli, non riconducibili in maniera riduttiva soltanto alla "speculazione
edilizia".
LA SPECULAZIONE EDILIZIA: termine eccessivamente inflazionato nel primo dopoguerra democristiano
del boom edilizio dal '63 in poi, ed oggi ripetuto a memoria forse senza
conoscerne il significato e l'origine.
E' appunto del '63 il film di Francesco Rosi
"Le mani sulla città".
"In un degradato quartiere di Napoli, un
palazzo crolla a causa dei lavori di demolizione ad esso adiacenti, causando
morti e feriti.
Responsabile del disastro, l'imprenditore
edile Edoardo Nottola viene coinvolto in un'inchiesta da cui esce senza
ripercussioni giudiziarie, ma inevitabilmente compromesso agli occhi del
partito di Destra per cui è consigliere comunale.
I compagni lo abbandonano e il suo nome alle
elezioni viene ritirato, ma Nottola, inflessibile e protervo, attinge ad ogni
risorsa del suo potere e, spalleggiato da alcuni consiglieri corrotti, diviene
il primo candidato nel gruppo di Centro.
Solo l'opposizione di Sinistra sembra decisa
a contrastare la prepotente ascesa del costruttore.
A guidarla è il consigliere De Vita che, dopo
accurate indagini, porta alla luce il coinvolgimento di Nottola e dei suoi
seguaci nella conquista di un appalto su cui poggiano cospicui interessi
economici e politici. Nel frattempo, il quartiere afflitto dal recente disastro
subisce un'ordinanza di sfratto che provoca la sommossa dei suoi occupanti,
sfociando in duri scontri con le forze di polizia. Nonostante il malcontento
popolare, i disordini dovuti al rovesciamento della maggioranza e la tenace
resistenza dei suoi oppositori, Nottola otterrà comunque la carica di assessore
all'edilizia, provocando profonde fratture anche nella Destra. Questa, con i
suoi rappresentanti più compromessi, tornerà infine ad appoggiarlo per il
proprio tornaconto." (da Rai International on line)
Che cosa è stata la "Speculazione
Edilizia".
Un torbido connubio
tra interesse privato e politica, tipica del regime democristiano di allora: un
imprenditore, in silenzioso accordo con politici del suo partito, acquista una
vasta area agricola, spesso in disuso, lontana dalla città, nemmeno tangente ad
essa, proprio per poterla acquistare a poche lire.
Il Comune,
trasformando improvvisamente il proprio Piano Regolatore, (ma anche spesso
senza trasformarlo, agendo di iniziativa propria in assenza di un preciso
strumento urbanistico, o in deroga allo strumento esistente), costruisce
nell'area intermedia tra la città ed il terreno, in questione investendo denaro
pubblico, tutte quelle attrezzature ed urbanizzazioni primarie e secondarie di
cui quel terreno avrà bisogno per essere utilizzato per costruzioni
residenziali.
(per urbanizzazioni primarie si intendono strade,
fogne, linee di elettricità e gas, linee di trasporto pubblico; per
urbanizzazioni secondarie si intendono i servizi di ordine superiore, scuole,
ambulatori, poste, etc).
Quindi in pratica a spese dell'Ente Pubblico,
e quindi della collettività, si creava un immenso valore aggiunto a favore del
Privato proprietario del terreno di periferia estrema, pagato due soldi, ed ora sopravvalutato in
forza di un enorme profitto di partenza essendo divenuto costruibile e già
ricco di servizi.
E gli Architetti
spesso sono stati professionisti conniventi ed indulgenti, mordendosi tra di
loro per accaparrarsi le briciole dell'immane speculazione.
Nascevano così quegli orrendi quartieri
dormitorio creati da "palazzinari" incalliti di professione delle
periferie urbane:
i quartieri
degradati di Roma, cuore del potere, di tanti nomi noti: Genghini, Marchini,
Ciarrapico, Armellini, Mezzaroma, Lamaro, Lodigiani (poi riscattatosi, passando
alle infrastrutture);
le Milano 2, 3,
...n, dell'allora indebitato e adesso nostro attuale Presidente del PDL o Forza
Italia;
società come le
Condotte Acqua, la Salini, la Cogefar (gruppo Fiat), la Cambogi.
Abbiamo visto che grande
occasione mancata (al fine della industrializzazione dell'edilizia in
termini di più ampia e moderna tecnologia) sia stata la realizzazione di
programmi di edilizia economica e popolare, progetti PEEP all'interno della
legge 167 e successive;
o quelli realizzati da cooperative, bianche o
rosse che siano;
e addirittura i programmi dei peggiori
palazzinari, che comunque potevano essere una occasione (appunto mancata) di
una modernizzazione del "fare edilizia".
D'altronde in tutte le altre branchie
dell'industria il capitale privato è stato promotore ed artefice di ricerca, di
innovazioni, di scoperte, di invenzioni: l'evoluzione della specie, funzionale
ed estetica, dalla carrozza all'automobile, in Italia è stata la Fiat a
gestirla e portarla a buon termine;
l'evoluzione
dall'automobile, intesa come pezzo di ferro capace di trasportarci, alla
tecnologia aerospaziale ed aerodinamica dell'automobile di ultima generazione,
è passata attraverso la formula uno, e quindi della ricerca di casa Ferrari, ma
anche di casa Lamborghini, Bertone, Pininfarina, Abarth, etc. ... ed ancora,
l'evoluzione della specie dalla macchina da scrivere ispirata al Vittoriano (il
“pisciatoio di lusso”), alle più
moderne macchine intelligenti, è passata attraverso la ricerca delle Olivetti,
e quindi dei Di Benedetto, quindi ancora del capitale privato.
E quindi
l'investimento in ricerca ha prodotto in seguito grandi utili.
Solo in edilizia tutto ciò non è avvenuto,
anche se una enormità di capitali sono stati investiti nella crescita selvaggia
delle città sotto la pressione demografica e la speculazione edilizia: da
nessuna parte si producono cellule abitative carrozzate Bertone, perchè
l'industria edile, con fare ottuso ed oscurantista, non ha mai investito in tal
senso;
mentre in campo automobilistico ogni accessorio
viene integrato nella struttura della scocca in quanto il tutto è sottoposto ad
un processo produttivo a progettazione integrale, in edilizia ogni accessorio
viene aggiunto e posizionato in maniera episodica e casuale, e quindi con
conseguenze antifunzionali ed antiestetiche: gli elettrodomestici sono
appoggiati dovunque alla rinfusa, forse assemblati insieme o con soluzioni ad
incasso, ma comunque sempre a-posteriori e post-progettati in aggiunta alla
struttura;
i mobili, i letti, i sanitari, i termosifoni,
i condizionatori, sono sempre oggetti aggiunti; anche il televisore, che nelle
automobili è ormai come il tom-tom incassato nel quadro comando, è aggiunto:
solo ora, con l' LCD ultrapiatto, questo può apparire un quadro sul muro, ma
comunque è aggiunto e appoggiato, e non integrato.
Addirittura
gli impianti vengono progettati a posteriori rispetto alla struttura
principale, e ad essa poi vengono adattati, casomai sotto traccia, ma non fanno
parte di una progettazione unitaria ed integrale.
Ma anche fatti estetici e di spazio ergonomico:
nelle automobili gli spigoli non sono spigoli, ma nervature curve, il tetto non
è piano come invece in maniera categorica è piano il soffitto nella stragrande
maggioranza delle abitazioni; i vetri sono curvi e sfumati, addirittura alcuni
sono fotocromatici e fotosensibili, si muovono con il cenno di un dito su un
pulsante, nelle automobili; in edilizia, rigorosamente trasparenti,
rigorosamente piatti, rigorosamente rettangolari, da aprire a mano con una
maniglia antidiluviana; le portiere hanno le cerniere a scomparsa, nelle
automobili; nelle case, rigorosamente a vista, del tipo preistorico con tondino
in alloggiamento cilindrico esterno.
Ma il più grave è la non flessibilità degli
spazi, che crescano e si modifichino a seconda delle diverse esigenze
sopravvenute, delle diverse funzionalità tra giorno e notte, della diversa
consistenza familiare;
più
grave è la non aggiungibilità degli spazi e delle funzioni;
la non ripetibilità per una sana produzione
industriale e di serie in grandi quantità.
Un giorno facevo questi discorsi, ed un mio
interlocutore mi disse: "meno male, altrimenti sarebbero tutte uguali, le
abitazioni".
Ed io replicai: "girati intorno, e dimmi
quante macchine vedi, e se ne vedi una uguale all'altra; e dimmi invece se vedi
abitazioni diverse da una sommatoria di cubi 4x4x3 nel migliore dei casi, o
meglio, 3x3x3, tutte uguali".
Continueremo
questo ragionamento.
Qui desidero solo sottolineare provocatoriamente che. per assurdo,
anche la peggiore "speculazione edilizia", nonostante tutto, si
potrebbe considerare una occasione mancata:
aveva una
carica ed un potenziale (l’enorme dimensione, creata dalla enorme pressione
demografica, ormai esaurita e che forse non ci sarà mai più, almeno nel
prossimo futuro) che non ha saputo o voluto sfruttare, (aggravandone
l’aberrazione, il tutto con me consapevole e ben sapendo di stare a dire
un’eresia, o, peggio, una bestemmia), come è purtroppo avvenuto anche con i
tanti interventi di edilizia economica e popolare tipo 167, che erano
accomunate dalla enorme dimensione di metri cubi di abitazioni gettate sul
mercato.
venerdì 8 maggio 2015
6 - GRUPPO ARCHIGRAM – dalla megastruttura alla
cellula
Sempre negli anni 60, con la fusione di due
studi (Peter Cook, Dennis Crompton e Warren Calk, da una parte; David Green,
Ron Herron e Michael Weeb dall'altra) nacque l'Architettura Megastrutturale del
Gruppo Archigram.
La maglia
strutturale del Gruppo si attestò sul quarantacinque gradi, con una orditura
ortogonale posizionata in diagonale; l'Immaginario del Gruppo prevedeva sempre
all'apice della maglia il posizionamento di una gru fissa, stanziale, che
permettesse la continua trasformabilità dell'Habitat, continuamente "in
fieri".
Ho ritrovato
questa immagine (la gru per la costante manutenzione e trasformazione
dell'edificio) in tanti organismi abitativi e di uffici a Londra.
Il gruppo Archigram è stato negli anni '60
noto per una visione della città e dell'habitat - per i tempi di allora -
all'avanguardia, per una città da progettare come un unico organismo
supertecnologico, ma senza sfociare nell'utopia o nella favola;
pur tuttavia, se anche abbiamo sostenuto che
"la fantascienza dell'altro ieri è la scienza di ieri" e
"l'utopia di ieri è la filosofia di oggi", purtroppo il pensiero e la
cultura urbanistica ed architettonica non sono state al passo con i tempi, e
non hanno fatto frutto degli esperimenti e delle provocazioni di tanti Grandi
poi passati nel dimenticatoio.
Se inizialmente e fino alla metà degli anni
Sessanta, Archigram si dedicò a progetti megastrutturali, tra cui i più
importanti Plug-in City di Peter Cook e Walking City di Herron,
entrambi del 1964, successivamente l’attenzione venne concentrata nella
progettazione di “habitat portabili”, che dovevano “liberare” l’uomo
dell’architettura stessa."
Si ipotizzano micro spazi compressi, ad uovo,
ma ricchi di proteine abitative, e potenzialmente assemblabili a grappolo, in
contenitori a scala urbana: dal microcosmo al macrocosmo.
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CELLULE
RESIDENZIALI A FORMA ERGONOMICA
E qui, continuando lungo le linee
indicate dalle visioni da sogno
(come direbbe Crozza mimando Briatore) proposte da Archigram, si vuole
sperimentare un possibile assemblaggio di moduli, con una assimilazione onirica tra un modulo di un bancone
per esposizione e vendita fotografato in un negozio di abbigliamento, ad un modulo
ripetibile e montabile in una possibile città (tema grafico: “da un modulo di
bancone alla città: un nuovo modo di concepire l’habitat umano; dall’impasto
all’assemblaggio”).
Involucri da carrozzeria di alto design
(Pinifarina, Bertone? …): è un industrial-design che va oltre l’architettura
(ormai confinata nella preistoria), con verniciature a forno, vetri
fotosensibili fumé a scalare, curvi o bombati a seguire il disegno e la linea
della carrozzeria, infissi a scomparsa.
In questa immagine onirica appare la fine
del cemento armato (e quindi del carpentiere e ferraiolo, e delle centrali di
betonaggio, dell’imbianchino, dell’impiantista vecchia maniera): un’edilizia
montata da personale in camice bianco, o meglio da robots con programma di
montaggio diretto dal computer di bordo di un cantiere pulito e senza errori,
con abbattuti i rischi di infortunio e di approssimazione.
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martedì 21 aprile 2015
5 – EMERGENZE URBANE: L’ OLIMPIADE DI ROMA
Sono un architetto pentito - cap. 5
5 – EMERGENZE URBANE: L’ OLIMPIADE DI ROMA
Mentre le
Expo’ planetarie sono state la vetrina di tante innovazioni tecnologiche
nell’edilizia (soprattutto la smontabilità
doveva essere la caratterisitica principale, data la funzione provvisoria
dell’oggetto architettonico), e soprattutto nei suoi monumenti, le Olimpiadi
sono state l’occasione per la riqualificazione urbana e territoriale delle
città ospitanti, se non di tutto il paese.
Facciamo un po’ di “revival” nostrano, tornando
ai mitici anni ‘60.
Le Olimpiadi
del 1960 furono per la Capitale una
grande occasione per riqualificarsi urbanisticamente (e contemporaneamente,
come vedremo, per stravolgerne e ribaltare le prospettive ideologiche della
scienza e della cultura urbanistica di allora, che erano alla base e struttura
portante per il Piano Regolatore allora in fieri).
Vi erano due
ampie aree urbane, tutte e due nate nel ventennio e di impostazione
architettonica imperiale, eroica e fascista,
già qualificate per l’immensità degli spazi e delle attrezzature sportive,
nonché per la loro posizione topica: a nord il Foro Italico, fino a pochi anni
prima Foro Mussolini, con ben tre stadi, (l’Olimpico, lo Stadio dei Marmi, il
Flaminio nelle vicinanze), e con la sede del C.O.N.I., tempio sacro dello
sport.
LO STADIO OLIMPICO foto d’epoca
A sud l’EUR, quasi una moderna new-town
alla estrema periferia, proiettata verso il mare, con le sue strutture già
realizzate per una Expò Universale mai realizzata “causa guerra intervenuta”;
quartiere che venne strutturalmente incrementato a mezzo di un impianto
di paesaggio urbano quale il laghetto artificiale (sede allora anche di
fantasmagorici giochi d’acqua, di colori e di musica, impianto tecnico ormai in
disuso, come spesso avviene non si sa perchè); il velodromo (anch’esso presto
in disuso, ed ora distrutto per implosione causata, comprese tonnellate di
eternit, da cui i processi per disastro colposo), gli impianti ginnici delle Tre
fontane, ed il Palazzo dello Sport, (oggi Palalottomatica, melanconicamente in
versione non più sportiva), posizionato su una collinetta di sfondo rispetto al
lago, con una visione al limite dell’ufologico, da “Incontri ravvicinati del terzo tipo”.
IL PALASPORT IN COSTRUZIONE
Tra queste due grandi Emergenze urbane fu
creato, interno alla città, un asse di collegamento veloce nord-sud, la via
Olimpica, tutto ad ovest rispetto il centro storico. Ed in tal modo tale
grande infrastruttura permise negli anni seguenti il traslarsi di tante
attività direzionali, e di potere economico e politico, dal centro storico
verso la qualificata periferia sud rappresentata dall’EUR.
Tutto ciò era di fatto uno stravolgimento del
tormentone di allora, di quanto cioè predicato da tanti Mostri sacri dell’Urbanistica,
da Piccinato a Zevi, da Quaroni a Mario Fiorentino: l’Asse Attrezzato.
Fin dagli anni cinquanta l’asse a est
della città veniva indicato come la direttrice dominante per l’espansione delle
Attività Direzionali di Roma.
L’idea
portava ad individuare nel P.R.G. (Piano Regolatore Generale) del 1962,
definitivamente approvato nel ’65, una vasta area a est del centro
storico destinata prevalentemente a funzioni direzionali e al terziario,
quale Sistema Direzionale Orientale: e tale struttura portante della città,
avrebbe dovuto qualificarla nei contenuti, e decongestionarla dal traffico a
mezzo di una nuova forma di decentramento ad est.
PROGETTO PER
L’ASSE ATTREZZATO DI ROMA
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La
via Olimpica, invece, offriva un asse di scorrimento veloce ad ovest del
centro storico, e di congiunzione a sud con la “New Town” Eur, quasi novella
città satellite della Capitale, destinata a diventare al più presto il vero e
nuovo Centro Direzionale urbano e metropolitano, regionale e nazionale; e nemmeno la sua successiva
continuazione e congiunzione con la Tangenziale Est, che la raccordava fino a
S. Giovanni, ed in seguito, attraverso via Marco Polo e parte della Cristoforo
Colombo, di nuovo fino all’Eur, mitigava lo spostamento di traffico ed attività
ormai tendenti a spostarsi all’estremo sud della città, all’Eur verso il mare.
D’altronde la
Tangenziale Ovest, ben lungi dall’essere un Asse Attrezzato, risulta essere
soltanto un mediocre tentativo di viabilità veloce, troppo spesso congestionata
da un eccesso di traffico.
E così, per “colpa” di una Olimpiade,
finirono miseramente tutte le più ampie velleità Urbanistiche di quella cultura
che ha fatto storia, sì, ma senza nulla realizzare:
infatti, come di tante altre cose, di “Asse
Attrezzato”, dopo tanto discutere e sognare, non se ne è più parlato.
Ma di Villaggio
Olimpico sì, perché lo abbiamo sempre sotto gli occhi, passando dal
viadotto di Corso Francia: fu costruito negli anni ‘58 – 59 per alloggiare gli atleti olimpici, su
progetto redatto da mostri sacri quali gli architetti Vittorio Cafiero,
Adalberto Libera, Amedeo Luccichenti, Vincenzo Monaco, e, dulcis in fundo,
il grande Luigi Moretti
le firme
autorevoli ed il tema sui generis hanno rivestito di leggenda un’organismo
ricco di pulsazioni irrisolte: addirittura, riconosciuto
come uno dei migliori quartieri di edilizia pubblica realizzati a Roma, il
progetto del Villaggio Olimpico, vince nel 1961 il premio regionale IN/ARCH
(!!!)
L’hanno paragonato all’Unité d'Habitation di Marseille, realizzata da Le
Corbusier nel lontano 1946 (!!!) (vedi capitolo 3):
Villaggio Olimpico di Roma
Unité d’habitation de marsille
questa non era certo un “mostro di bellezza”,
ma sicuramente era il “manifesto” delle più originali teorie urbanistiche ed
architettoniche della ricostruzione; idee allora – nel 1946, cioè
nell’immediato dopo guerra – rivoluzionarie e all’avanguardia, ma ormai
obsolete nel 1958 ben dodici anni dopo, anche perché le idee espresse
dall’Architettura Razionalista di Le Corbusier non hanno subito la dovuta
evoluzione della specie nelle direzioni già insite nelle proposte
dell’Architettura Razionalista, da questa suggerite e non solo in embrione.
Vediamo quali erano tali intuizioni
rivoluzionarie.
1)
nell’Unità di Abitazione di Marsiglia i 337 appartamenti, con semplice finzione
di facciata, appaiono essere stati costruiti in serie e poi assemblati, a
testimoniare l’idea di una casa intesa quale una “macchina per abitare”, (adeguandosi al periodo storico
rivoluzionato dalla meccanizzazione e dalla proliferazione delle macchine),
nella quale possono abitarvi fino a 1500 persone, un piccolo quartiere.
Tali concetti, (l’assemblabilità e la
trasformabilità, quindi una potenziale produzione in serie) non vengono in
alcun modo sviluppati, anzi nel Villaggio Olimpico vengono solo “copiati” in
una versione ancora soltanto di facciata.
2) l’adozione nell’attacco a terra di un piano pilotis a
Marsiglia suggeriva, nella discontinuità con il terreno, la continuità
con funzioni sociali o commerciali, con percorsi attrezzati.
Nel Villaggio Olimpico rimane la mera
discontinuità con il terreno, lasciando ad un facile processo di degrado questi
spazi pubblici non utilizzati, (se addirittura non al rischio di aggressioni ed
azioni malavitose negli ampi spazi senza limiti ottici).
3) A Marsiglia l’arretramento dei
pilastri rispetto al filo dei solai consente uno sviluppo della facciata
indipendente dal resto dell’appartamento e da ritmi strutturali, e permette
l’utilizzo di finestrature a nastro, capaci di scorrere a piacere lungo la
parete, e di fornire un’illuminazione personalizzata.
Nel Villaggio Olimpico invece, nonostante
tale arretramento, il prospetto è ritmato in una sequenza a ripetizione che può
ripetersi per chilometri senza soluzioni di continuità.
4)
Al settimo e ottavo piano, la cosa forse più rivoluzionaria a Marsiglia, sono
presenti una parte di servizi urbani essenziali (asilo-nido, negozi, lavanderia, ristorante, ecc.), in modo da eliminare il salto dimensionale
tra il singolo edificio e la città: il primo viene proposto come semplice
sottomultiplo della seconda.
Il lastrico
solare è trattato come un naturalistico Roof Garden (giardino tra le
terrazze), rifinendo nel verde il paesaggio dello Sky-line (linea del
cielo) del manufatto oggetto dell’intervento umano.
Tutto ciò
tende a ridurre ai minimi termini la distinzione tra urbanistica e
architettura, tra città ed edificio, con un sistema di relazioni che, partendo
dalla singola unità
abitativa,
intesa come cellula di un insieme, si estende via via
all'edificio, al quartiere, alla città, all'intero ambiente
costruito.
A Roma,
invece, siamo di fronte ad un piatto lastrico solare, che non è “portatore di
servizi urbani”, e la cui unica funzione è coprire il fabbricato. In realtà con
il Villaggio di Roma siamo quindi ben lontani dalla concretizzazione di quanto
proclamato nel “manifesto razionalista” della Unité d’Habitation, ma siamo di
fronte ad una brutta copia conforme di una cosa già di per sé non
eccezionalmente bella (ma che comunque aveva al suo interno gli embrioni di
eccezionali innovazioni, embrioni forse ancora oggi non sviluppati):
peccato,
poteva essere una grande occasione, ed invece siamo di fronte ad un’ennesima occasione mancata, se non proprio ad un
“mostro architettonico”.
venerdì 17 aprile 2015
CAPITOLO 4 - Sono un architetto pentito
4 - ENTRARE NELLA STORIA... SI PUO'...
In situazioni
emergenti (ad esempio le Expò) Architetti ed Ingegneri fin dal lontano 1851
hanno creato delle pagine progettuali di alta tecnologia.
Quindi
pensare che una Edilizia Hi-tech possa esistere, si può...
non è fantascienza, i presupposti per la
fuoriuscita dell'Edilizia dalla Preistoria ci sono, le cognizioni tecniche
pure, .... , ma la volontà di utilizzare l'hi-tec in produzione di massa, per
migliorare l'habitat, renderlo organico e flessibile, riporoducibile,
trasformabile, smontabile e rimontabile (quasi come un manufatto arredo
dell'Ikea), quella volontà... no, ancora non c'è; anche se "nulla hosta" perchè tale volontà
ci sia.
Vedi il Crystal Palace dell'Expò del 1.851 (!!!): a fine Fiera, fu smontato,
e rimontato in altro sito con qualche aggiunta sostanziale ma con le medesime
caratteristiche, come si vede nelle foto d'epoca qui riprodotte.
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Come
nell'Habitat di Moshe Safdie all'Expò di Montreal nel 1967:
"Un esempio di
architettura forse difficile da digerire al primo impatto, ma flessibile, trasformabile, aggiungibile,
decurtabile; un "organismo in fieri" con una tipologia di immagine
che affonda le sue radici nella gasba algerina (era attuale ed emergente la
Battaglia di Algeri, film del 66 di Gillo Pontecorvo sui dieci anni di lotta di
liberazione portati avanti dal F.L.N. - Fronte Nazionale di Liberazione).
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Un'architettura veramente organica, pur nel cubismo di stampo
razionalista delle sue forme, organica in quanto organismo come vivente nella
sua adattabilità nel tempo e nello spazio alle esigenze degli abitanti
suoi fruitori.
Le capsule
appaiono applicate alla struttura, aggiunte per aggregazione, per successivo
posizionamento, sottintendendo e suggerendo una potenziale flessibilità,
accrescibilità e smontabilità, pur non avendone le vere caratteristiche
tecniche, in quanto ancora l’evoluzione tecnologica ancora non lo permetteva
(ma vi erano vicini, soprattutto morfologicamente).
Come nel Padiglione
Italiano all'Expò di Osaka, nel 1970, dello studio Valle, dove viene completamente superato il concetto base di ogni
struttura, fatto di pilastri e travi, tamponature e solai, tutti rigorosamente
perpendicolari, verticali ed orizzontali.
Erano anni di grande ricerca. Era la vittoria del "trenta gradi"
sull'angolo retto.
Una vittoria che doveva avvenire, nel mondo del 68
quella sensazione era nell'aria, il “trenta-sessanta”
doveva nascere, (come il Messia doveva nascere, chiunque esso potesse essere,
nell'anno zero): lo studio Valle era all'avanguardia per una progettazione
rivoluzionaria.
Nel 1972
ospitava al suo interno una compagine dello studio Tange, il più noto
architetto giapponese (ed io partecipai per quello studio alla stesura della
Relazione Tecnica per il piano particolareggiato di Librino, quartiere
satellite di Catania).
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In edilizia la storia è ancora fantascienza,
e la fantascienza dell'altro ieri è la
scienza di ieri. L'utopia di ieri è la filosofia di oggi.
E' di un anno
prima rispetto ad Osaka, del 1969, il Progetto/esame (architettura degli
interni) di un Cinema a Via Cola di Rienzo
redatto dal sottoscritto con altri tre colleghi studenti: la visione
preveggente di un passato prossimo è la descrizione, secondo l'immaginario
collettivo, della realtà attuale.
Ma quello che
progettavamo trentacinque anni fa, negli anni 60, non era il frutto di pura
fantasia onirica, o di elucubrazioni psichedeliche.
Era frutto di meditazione tecnica, di innovazioni di
ingegneria strutturale, di architettura pensata nello spazio e nel "fieri"
del tempo; e continuiamo a precisare che, in contemporanea, persone
che non si conoscevano, che non avevano modo di attingere idee ed immagini
dall'altro, di diversa leva ed estrazione (l'arch. Valle, già allora affermato
ai più alti livelli, ed il nostro gruppo di studenti di Architettura, da poco
nato e formato da allora ragazzi), progettavano, per organismi diversi e
dislocati agli antipodi del mondo:
volumi e strutture con incredibili
analogie, tutte apparentabili ad une edilizia che poteva apparire di
fantascienza:
ma
fantascienza non era.
Il padiglione italiano all'expò di Osaka, ed il
nostro cinema progettato per un lotto in via Cola di Rienzo a Roma, sono
apparentati da una simile tipologia di pensiero.
PADIGLIONE ITALIANO A OSAKA
CINEMA IN VIA COLA DI RIENZO
Ma torniamo alle Expò, ed andiamo indietro nel
tempo.
1889 - PARIGI - TORRE EIFFEL
E' un inno alla tecnica dell'acciaio, ma con
la rinuncia al concetto di "funzione", se non quella di
"monumento" irripetibile.
Una precisazione tecnica, che forse ne
diminuisce la caratteristica di capolavoro universale di ingegneria (ma questa mia è forse una deformazione
professionale da architetto): i quattro archi di ingresso sopra la base,
non sono archi "portanti", come vorrebbero apparire all'occhio del
visitatore inesperto; anzi, sono archi "portati" dai piloni in
diagonale retta, facendolo diventare un "falso strutturale" e quindi
anche un "falso ideologico di progettazione"; il tutto senza togliere
nulla alla maestosità dell'opera.
Nella foto d’epoca si vede la vera struttura
portante in costruzione, e non ci sono ancora gli archi.
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